Una vecchia illusione


Da anni si riforma la Coppa Italia a cadenza costante, ogni pochi anni il format viene modificato perché, a giudicare dalle parole dei promotori delle riforme, si vorrebbe equiparare questo torneo alla ben più antica ed illustre FA Cup. Inutile illudersi, non potrà mai esserci una parità tra le due manifestazioni, un abisso di storia, cultura e fascino si spalanca tra di esse, ampliato paradossalmente proprio dalle recenti riforme, apparentemente concepite per abbattere anche gli ultimi residui dell’attaccamento del popolo dello stivale per la coppa nazionale.

Una questione di tradizione


Nei suoi più di centocinquant’anni di storia la FA Cup ci ha regalato emozioni e sorprese in quantità ineguagliabile. Ciò è dovuto al format che, come ogni buon appassionato di calcio sa, permette a tutte le squadre della piramide calcistica d’oltremanica di partecipare, previa raggiungimento di alcuni standard minimi per gli impianti di proprietà. I club che ogni anno si iscrivono alla più antica coppa al mondo sono circa settecentocinquanta ed appartengono anche alla decima o all’undicesima serie del calcio inglese.
La Coppa Italia, più Giovane e nata sotto l’egida di un calcio già professionistico, consente solo ai club delle due serie più alte e ad alcune società della terza serie di iscriversi, diminuendo drasticamente il numero dei partecipanti e giocoforza il fascino del torneo.

Due culture, due coppe


In Italia il calcio dilettantistico è spesso visto come un’inutile appendice a quello dei ricchi e viene guardato con sufficienza e persino con spregio, anche da professionisti della carta stampata. In Inghilterra invece i club dilettantistici sono il cuore pulsante del movimento e sono pertanto sostenuti non solo dai propri tifosi, ma da mirati programmi di redistribuzione dei fondi promossi dalla Football Association.
Per comprendere a pieno questa differenza basti pensare al fatto che, sin dai primi turni, la BBC trasmette sempre almeno una partita di FA Cup ad ogni fase. La televisione nazionale britannica offre dunque una vetrina alle società più piccole ed alle loro comunità, cosa che, anche per una fuorviante ed ostinata logica di profitto a breve termine, in Italia sarebbe percepita come ridicola ed insensata.
Si tratta dunque di un confronto tra una cultura in cui il calcio e lo sport in generale sono elementi basilari di coesione sociale, anche e soprattutto a livello amatoriale, ed una in cui l’elemento economico ha preso il sopravvento da almeno quattro decadi. Curiosamente è proprio nel primo caso che i tifosi sono disposti a spendere di più per i loro club, elemento che contribuisce non poco alla differente ricchezza dei due movimenti.

La zappa sui piedi


Come già detto, la Coppa Italia vede la partecipazione di un numero ridotto di squadre, ma ciò accade soltanto in conseguenza dell’ultima riforma della manifestazione. Molti ricorderanno gli ottimi risultati fatti registrare negli ultimi anni, per citarne giusto un paio, dal Pordenone e dall’Alessandria.
Proprio quando la coppa nazionale dello stivale aveva visto un livellamento ed un paio di episodi simili ai famosi giant killing della FA Cup, si è deciso di restringere il lotto delle partecipanti; un’operazione suicida. Appaiono quindi ancora più incomprensibili le parole dei dirigenti federali che paragonano la nuova Coppa Italia alla FA Cup, il tutto dopo aver inferto l’ultimo di una lunga serie di colpi fatali al torneo.
C’è inoltre un altro elemento che stride con certe pretese del movimento italiano: si tratta del fatto che, dopo le moderne modifiche al format, le grandi, le prime otto classificate nella Serie A della stagione precedente, partono direttamente dagli ottavi di finale, giocando per di più in casa questa sfida. Inutile sottolineare l’evidente differenza di cultura meritocratica con il presunto equivalente d’oltremanica, si farebbe un grave torto all’intelligenza del lettore.

Parole vuote e promesse infrante


Alla luce di questi fattori, appare decisamente ardito comparare le due manifestazioni, soprattutto risultano vuote le parole di chi cerca impalpabili appigli per equiparare due tornei diversi, specchio di due mondi diversi.
Chi perde in tutto ciò è il tifoso italiano, privato dell’opportunità di vivere emozioni diverse da quelle opache e ripetitive di sfide sempre uguali, confezionate per agevolare il percorso del più forte e per dare ai piccoli club possibilità nulle o irrisorie. Godiamoci dunque la magia della FA Cup, la sua unicità, le sue sorprese e la chance che ci offre di oltrepassare confini geografici e culturali e, attraverso lo sport, di aprirci a nuovi orizzonti.
diMichele Mele