Vige una innegabile trasversalità che lega personaggi a volte estremamente diversi fra loro, ma accomunati dalla unanime riconoscenza e stima dellemasse. A tale categoria appartiene di diritto Gianluca Vialli, il “liutaio del football” più conosciuto di Cremona ( e non solo ), per le accattivanti sinfonie calcistiche suonate magistralmente nei prati verdi di tutto il mondo. Argutamente scherzoso, perspicace, combattivo, ha incorporato il prototipo dell’attaccante moderno tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90. Impossibile non amarlo, al di là delle consuete e ormai stucchevoli rivalità cittadine. Il sorriso sincero, la dedizione alla maglia, la classe cristallina combinati ad una potenza straripante sono le doti di cui i suoi tifosi e quelli avversari si sono innamorati perdutamente. Riesce difficile pensare che un fan del Genoa o della Fiorentina o del Tottenham Hotspur, possa avere “detestato” un modello di professionalità che accarezzava l’eccellenza. Non ci pare azzardato ricorrere ad un paragone politico quando riteniamo che qualsiasi individuo rispettoso delle idee altrui, indipendentemente dal suo credo personale, possa riconoscere lo spessore di personaggi antitetici, entrati nel panorama culturale di un paese. Ad esempio: e’ contestabile il rigore puritano di un Enrico Berlinguer o la sintetica oratoria di un Giorgio Almirante ? Non crediamo. Parimenti lo è nel calcio, conclamato fenomeno sociale. Traslato il parallelo in questo ambito, il “Gemello del goal” per antonomasia, assieme a Roberto Mancini e’ palesemente incontestabile, fuori e dentro il campo. Ci riesce difficile configurare un fuoriclasse pallonaro in senso lato se incapace di collimare l’aspetto professionale con quello etico. Trattasi di personaggi pubblici e come tali rappresentanti un esempio, a 360 gradi. Tolleriamo solo comprensibili, umane sbavature. Se è pur vero che al tifoso medio interessa preminentemente ciò che il suo idolo esprime sul campo piuttosto che nella vita privata e che ognuno è liberissimo di vivere la sua esistenza come meglio ritiene, chiediamo venia, ma assecondiamo la coerenza. Prediligiamo gentiluomini come Pelé e Gaetano Scirea, ad altri indiscutibili talenti, ma molto meno degni dei sopracitati. Opinabile ? Certo, ma è la principale ragione per cui gongoliamo davanti allo “Stradivario” di Breriana firma. La sua consacrazione definitiva è avvenuta in Inghilterra, probabilmente lo scenario professionale e ambientale a lui più congeniale.



Il borghese “StradiVialli”, giudicato troppo abile nel coniugare perfettamente i congiuntivi, ha esportato il modello della cultura pop italiana nel Regno Unito, continuando a bucare reti e schermi televisivi con eleganza, indossando l’orecchino senza mai sfociare nel kitch. Il trionfo nella massima competizione per Club a livello europeo coincise con la fine della sua avventura alla Juventus, archiviata con uno score di 53 reti a fronte di 145 presenze complessive e linizio della sua pionieristica avventura in terra straniera, al Chelsea, insieme ai connazionali Roberto Di Matteo e Gianfranco Zola. Coi “Blues” archiviò tre ottime stagioni, che impreziosirono il suo personale palmarès di una Coppa dInghilterra ( 1996/97 ) una Supercoppa Inglese e una Coppa delle Coppe ( 1997/98 ) e una Supercoppa Europea ( 1998 ) nel doppio ruolo di giocatore/trainer affidatogli dai vertici societari, dopo le dimissioni di Ruud Gullit. Abbracciò quindi una breve carriera da Tecnico a “Stamford Bridge” conquistando la Coppa dInghilterra ( 1999/2000 ) e la Charity Cup ( 2000 ), per poi trasferirsi senza successo al Watford, nel 2001/02.Da player-managercercò di far salire di livello tutto lambientelondinese, provando a trasmettere unorganizzazione spiccatamente continentale, europea. Era cominciato il salto in avanti dellInghilterra, la Premier League iniziava a cambiare volto con calciatori e tecnici stranieri. L’ombra del Big Ben rappresentò l’ “Eden” dietro cui attingere a una formazione completa. La capitale inglese, pur essendo una megalopoli multiculturale, gli consentì di lavorare più serenamente che nel Bel Paese. L’onestà comunicativa lo rese fuoriclasse perfino nel mondo televisivo, da sagace commentatore sportivo. D’altronde si riservava uno spazio inedito, forte di un'identità ibrida. La sua figura si stagliava meravigliosamente a quelle latitudini, patria di una sportività genuina. Commentatore, analista, scrittore, comunicatore, portava in dote un percorso inimitabile per distinzione e risultati. “Defacto” un gentleman di due mondi. Uno “storyteller”, d’eccezione. Per oltre quindici anni è entrato nelle case britanniche ammaliandole col suo charme, la esemplare competenza ed eloquenza. Il “british style” gli calzava a pennello. Anticipò un'intera generazione riversatasi poi nella “city” per ricoprire ogni ruolo, da quello del calciatore al lavapiatti, dal manager allo studente. Di tutti loro era il volto, la voce, l’inconfondibile biglietto da visita. Il monito umano, posato che ci ha tramandato, ammettendo la paura della morte e nel contempo affrontandola coraggiosamente, è commovente. Ha scardinato schemi, sovrascritto stereotipi non solo nel mondo del football ma anche in quello della lotta alla malattia, che mette gli esseri umani tutto sullo stesso piano. Il suo approccio alla patologia aiuterà certamente altri pazienti ad affrontare il male diversamente. Amata Londra, non ce ne volere, ma la più gustosa mostarda che tu abbia assaggiato è di importazione italiana.. Risponde al nome di Gianluca Vialli.


diVincenzo Felici