Ricordi

Se dici Wimbledon ti viene subito in mente la Crazy Gang e quei matti ragazzacci che finirono addirittura per catturare le attenzioni della trasmissione televisiva Mai Dire Gol. Una squadra rude, grezza, con dei giocatori che non andavano di certo per il sottile. In campo si prendeva tutto, gamba e pallone e i fallacci erano il metodo migliore per intimorire gli avversari e vincere le partite.

Il miracolo dela FA Cup

Se a Wimbledon c'è solo il tennis nel 1986 inizia ad esserci anche il calcio, quello vecchio e romantico quando il pallone era a spicchi bianchi e neri. Il club londinese  ottiene la sua prima e storica promozione in Premier League, all’epoca chiamata First Division. Appena due anni dopo, 1988, il piccolissimo Wimbledon batte 1-0 il grandissimo Liverpool nella finale di Coppa d’Inghilterra, uno di quegli avvenimenti unici e rari nella storia del calcio. Wimbledon Vinnie Jones con la maglia del Wimbledon - Photo by Daily Mail

1989

Nel 1989 si assiste purtroppo la tragedia dello stadio di Hillsbrough in quel di Sheffield e la drammaticità dell'evento  dà il via a una rivoluzione voluta dal Primo Ministro inglese Margaret Thatcher che porta avanti un nuovo piano sicurezza negli stadi. Il primo veto è l’abolizione di posti in piedi, ma solo di seggiolini con biglietto numerato da esibire al tornello. Se oggi questa cosa può sembrare scontata per il Wimbledon di quei tempi, il provvedimento si rivela drastico e drammatico.

Il vecchio Plough Lane

Il vecchio Plough Lane, dove i giallo-blu londinesi giocano le partite casalinghe, non è certamente a norma e la dirigenza dei Dons deve correre in fretta ai ripari, trovando una sistemazione provvisoria. La scelta ricade sul Selhurst Park, casa del Crystal Palace, da sempre eterna rivale del Wimbledon. I tifosi inizialmente seguono la squadra nonostante i trasferimenti al Selhurst, ma nel 2000 arriva la retrocessione e gli spettatori iniziano a diminuire lasciando lo stadio sempre semivuoto, così il Wimbledon decide di trasferirsi in uno stadio più piccolo.

Denbigh Stadium

Scelta che ricade sul Denbigh Stadium di Milton Keynes. La decisione non viene presa di buon occhio dai tifosi, perché la struttura si trova in una città fuori Londra. Il popolo dei Dons, stanco e avvilito dalla situazione, smette di sostenere la  squadra, che cade in una crisi d’identità e finanziaria senza tempo. A salvarla dal fallimento totale ci pensa un certo Winkelman, un musicista di Milton Keynes, proprietario anche dell Denbigh Stadium, che decide di acquistare il Wimbledon. Londra The Kingsmeadow, stadio dell'AFC Wimbledon - Photo by Il calcio a Londra  

L'inizio della fine

Più che salvare il club, Winkelman lo cancella definitivamente, cambiando il nome in Milton Keynes Dons, mutandone addirittura i colori societari, che dal giallo e blu diventano bianco e rosso. Questo è davvero troppo per Kris Stewart, un tifoso che ha particolarmente a cuore le sorti del Wimbledon, che inizia una sorta di rivoluzione per riabilitare l’AFC Wimbledon. Passano gli anni e i londinesi riescono a ritrovare pace e l’identità perduta grazie a una lunga serie di ricorsi e petizioni della gente del Wimbledon.  

I trofei perduti

Il club si è riappropriato parzialmente di quello che era una tempo giocando le partite casalinghe al Kingsmeadow, piccolo stadio situato nella zona di Kingston Upon Thames e riabbracciando dopo tempo immemore il vecchio Plough lane, rimesso a nuovo. Nel 2002 è iniziata una lunga battaglia legale per togliere dal palmares dei MK Dons (squadra che nel frattempo è diventata a tutti gli effetti il club della città di Milton Keynes) i trofei conquistati dal Wimbledon, compresa quella famosa Fa Cup vinta contro il Liverpool. Plough Lane Plough Lane - Photo by Wimbledon Official Twitter Nel 2007 arriva la tanto e attesa decisione che restituisce al AFC Wimbledon il proprio palmares, togliendo ai Dons di Milton Keynes tutti i titoli vantati illegittimamente. Nel 2014, in occasione di un turno di FA Cup, le due squadre si scontrano per la prima volta nella storia in quello che si può definire a tutti gli effetti il derby dell'identità perduta. di Antonio Marchese