Un viaggio durato ventiquattro anni

Non saranno i cinque campionati vinti o le sei Fa Cup alzate al cielo, non saranno le 717 presenze e le 67 reti, non potranno mai essere solo dei numeri a definire cosa rappresenti John Terry per il cuore blues di Londra: impossibile descrivere con poche parole chi ha incarnato le fondamenta e le gesta di uno dei club più vincenti del nuovo millennio. D'altronde, come spiegare un viaggio durato ventiquattro anni, da quel 1993 in cui Cobham lo accolse bambino, fino a quel 15 maggio 2017 che lo Stamford Bridge lo salutò, in lacrime, uomo? Come? Inutile. Impossibile. Perchè la storia Chelsea-Terry non è una di quelle classiche storie d'amore che con il tempo, inevitabilmente, si logorano: no, è stato un connubio che il passare degli anni ha reso fascinoso, magico, eterno. E' uno di quei romanzi in cui succede di tutto, in cui nulla è scontato se non il senso di appartenenza. Il sentire un amore reciproco cha va oltre la logica. L'esserci, sempre, vicendevolmente. Anche quando per il mondo esterno diventi un bersaglio facile da attaccare. Ecco, questo per ventiquattro lunghi anni sono stati il Chelsea per Terry e Terry per il Chelsea: certezza.

John Terry
John Terry - Photo by The Telegraph

Il capitano

Non intaccata dai giudizi altrui, non scalfita dalla cronaca rosa, non incrinata da debaclè, personali e/o sportive. Il mondo Chelsea si è sempre stretto a chi, dal 2004, è divenuto il suo capitano di mille battaglie e trofei; un riparo sicuro nei momenti più difficili, la testa sempre alta anche nelle situazioni drastiche. Anche quel maledetto 21 maggio 2008, sotto una pioggia battente che ha trasformato in pochi secondi Mosca, da paradiso, ad inferno. Una delle serate più brutte di una carriera, una delle serate più tragiche di un popolo(sportivo). Il tempo si sarebbe fermato per molti, forse per tutti. Non per un capitano che, per antonomasia, non può mostrarsi di essere debole ma fortezza da cui ripartire. E' questo quello che Terry fa per riprendersi in terra tedesca, quattro anni dopo, ciò che gli era stato tolto: conta poco che lui quella finale non la potè giocare, perchè quella coppa era la figlia di un lungo cammino intrapreso con quelli che diventeranno compagni di vita: Frank, Didier e Petr. Era la coppa più prestigiosa che la sua Londra non aveva mai visto e che lui doveva portare a casa.

Maglia numero 26

Un ragazzo che con la maglia 26 sulle spalle ha difeso sempre(anche da portiere) la sua porta e i suoi colori.  Oltre le critiche, oltre l'opinione pubblica. Per i suoi tifosi. Che ritroveranno sempre la sua immagine ripensando alla gloria. Queste cose non le trovate nei libri. Ma nel cuore della gente. 

di Pierluigi Cuttica